Cuore di strutture dall’ingegnosa progettazione e nutrimento per occhi distratti dal paesaggio urbano, i chiostri sono spazi segreti, ma aperti, a chiunque intenda la spiritualità come momento intimo e personale.
Ma anche a coloro che vogliono passeggiare con lo sguardo e con i piedi in gioielli architettonici che hanno ospitato nei secoli autentiche maratone dialettiche e meditative.
In questo itinerario alla ricerca dei luoghi del raccoglimento, meritano una menzione i chiostri della Chiesa di San Sisto - carissima ai Farnese e custode del monumento funebre a Margherita d’Austria e di una copia della celeberrima Madonna Sistina di Raffaello, il cui originale venne venduto nel 1754 ad Augusto III re di Polonia.
Insigne tempio rinascimentale e opera prima di Alessio Tramello, il chiostro si presenta allo sguardo dei visitatori che attraversano il portone di ingresso come un ampio triportico con ventuno arcate a pieno centro sostenute da colonne in granito; sopra le arcate sono ancora visibili antichi medaglioni affrescati, che raffigurano diciotto immagini di imperatori e abati.
E' stata fondata all’incirca nel 1136 dallo stesso San Bernardo, che fu l’ultima guida di Dante in Paradiso, offrendo così uno spunto per una visita in onore dei 700 anni dalla morte del Sommo Poeta; è inoltre inserita nei due Itinerari Culturali del Consiglio d'Europa "Via Francigena" e "Route Européenne des Abbayes Cicterciennes".
L’integrità mantenuta dal trecentesco chiostro quadrato che costituisce il cuore della struttura – il cui nome deriva dalla leggenda secondo la quale fu una bianca colomba a delineare con delle pagliuzze depositate davanti ai monaci il perimetro della futura costruzione - permette di apprezzarne la qualità architettonica, decorativa e mistico-simbolica tipica del medioevo e soprattutto l’affascinante armonia delle parti.
Magistrali sono i raccordi e i ritmi contrappuntati di elementi che si moltiplicano per combinarsi in un tutt’uno di sublime coerenza: le simbologie cifrate si insinuano nelle 24 partizioni a quadrifora, così come nelle 96 arcatelle ogivali, nelle 130 colonnine binate in marmo rosa di Verona, nei 20 speroni a contrafforte avanzati e nella cornice ad archetti e tortiglione.
Specie alla luce di alcune precise ore del giorno, una passeggiata lungo i 40 metri dell’anello claustrale evoca un passato di meditazione monastica favorita dal contrasto tra rigore esistenziale e splendore artistico, qui sintetizzato in dettagli come le colonne ofitiche, i capitelli figurati o le figure telamoniche agli angoli interni del portico.
Addentrandosi in Val Trebbia, a Bobbio, uno dei Borghi più Belli d’Italia, merita assolutamente una visita il complesso dell’Abbazia di San Colombano, che spicca con il suo maestoso chiostro, scenario anche del Bobbio Film Festival diretto da Marco Bellocchio.
L’Abbazia, nota soprattutto come fonte d’ispirazione - con il suo Scriptorium, oggi purtroppo in gran parte disperso - per “Il nome della Rosa” di Umberto Eco, fu uno dei più importanti centri monastici d'Europa durante il Medioevo, l'ultimo fondato in Italia da San Colombano nel 614 e ancora oggi cuore pulsante, dal punto di vista culturale, del borgo.
Il catalogo del suo Scriptorium, nel 982, comprendeva oltre 700 codici e dopo la dispersione in altre biblioteche conservò 25 dei 150 manoscritti più antichi della lettura latina esistenti al mondo.
La Basilica fu costruita tra il 1456 ed il 1522 e presenta all’interno numerosi affreschi che decorano le due navate minori ed il transetto, eseguiti da Bernardino Lanzani e da un suo aiutante intorno agli anni 1527-1530. Vicino all’ingresso a sinistra, vi è la vasca battesimale del VII secolo che, secondo la leggenda, la regina Teodolinda donò a San Colombano e dove lui stesso celebrò il primo battesimo. Nell’ambiente che si apre davanti la cripta si conserva il prezioso mosaico pavimentale di San Colombano (metà del XII secolo), riemerso miracolosamente durante lavori di ristrutturazione nel 1910.
Il complesso abbaziale inoltre ospita il Museo dell’Abbazia, che contiene una raccolta di materiali archeologici e opere legate alla figura di San Colombano dal IV al XVIII secolo, il bellissimo chiostro interno e il Museo della Città, collocato nell’ex refettorio.
Per gli amanti dei cammini, la tappa di Bobbio è spunto per percorrere la storica Via degli Abati, detta anche Via Francigena di Montagna, che va da questo borgo del piacentino fino a Pontremoli.
Un maestoso chiostro si apre alla meraviglia dei visitatori della Certosa di San Girolamo, meglio conosciuta come Certosa di Parma.
Riaperto alle visite da gennaio 2022 questo complesso architettonico, il cui nome fu da ispirazione a Stendhal per il titolo del suo celebre romanzo, fu fondato dai monaci Certosini nel 1285 alle porte della città, ma nel corso dei secoli è stato completamente trasformato, mostrando oggi la chiesa gotica ricostruita nel 1722 in stile barocco, la facciata neoclassica che risale al 1847, l’antica sagrestia e splendidi arredi rinascimentali, tra cui pale affrescate o scolpite, capitelli, affreschi e altari.
La sagrestia e il chiostro maggiore risalgono al XVI secolo, mentre il chiostro minore è del XV secolo.
Tra i segreti meglio custoditi dalle possenti mura del complesso benedettino risalente al X secolo, ci sono ben tre chiostri, un’autentica oasi di pace nel centro storico della città, accessibili sulla destra dell’uscita della chiesa.
Appena entrati, ciò che colpisce è il silenzio. La regola benedettina accoglie i visitatori: “Ora et labora” leggiamo lungo la parete del primo chiostro, detto di San Giovanni o della Porta, che è in realtà il più recente. Edificato tra il 1537 e il 1538, presenta un porticato a colonne ioniche, una fontana centrale inaugurata nel 1589 e resti di affreschi del tardo ‘500, come quelli di Leonardo da Monchio ed Ercole Pio, datati 1579.
Una porta sulla destra ci fa accedere alla Biblioteca Monumentale, divisa in tre navate, con due file di cinque colonne ioniche che reggono, coi muri perimetrali, il soffitto composto di diciotto volte a tutto sesto. Strabiliante il programma pittorico dall’Abate Stefano Cattaneo da Novara, che comprende 5 carte geografiche, la genealogia di Cristo e 3 cronologie, 4 spazi con illustrazioni delle costruzioni archetipiche dell'Antico Testamento, la celebrazione della vittoria di Lepanto, la decorazione delle volte a grottesche e quella delle lunette sopra le due porte.
Sotto la loggia del chiostro successivo, il più antico e non a caso detto del Capitolo, si apre la sala capitolare.
Il più grande dei tre è però il Chiostro di San Benedetto, costruito tra il 1508 e il 1512 e caratterizzato da un’elegantissima linea che dà un senso di leggerezza al portico di 36 colonne, ognuna delle quali separata dalla successiva da 26 tondini con figure di santi realizzate Giovanni Battista Merano e Tommaso Aldrovandini a fine ‘600.
E' stata fondata da Pier Maria Rossi nel 1471 attorno alla preesistente chiesa dedicata alla Madonna della Neve.
I capitelli del chiostro quattrocentesco richiamano quelli presenti nel cortile d’onore del vicino castello, mentre la campana originaria di “magister Antonius” e una formella in cotto con la Flagellazione, tratta da un marmo dell’Amedeo (1481-84), offrono piacevoli inquadrature tra le armoniose arcate del perimetro quadrangolare.
Qui, un passo dopo l’altro, si può sbirciare negli ambienti che le pareti lasciano intuire: tra essi, un piccolo oratorio impreziosito con affresco raffigurante la Madonna col Bambino in Mandorla.
Da non perdere una tappa allo splendido Castello di Torrechiara, dove visitare la Camera d’Oro attribuita a Benedetto Bembo e la stanza nuziale, luoghi che svelano la storia d’amore tra Pier Maria Rossi e l’amata Bianca Pellegrini. La scoperta di queste meraviglie è occasione anche per provare le prelibatezze culinarie del territorio e di Parma, Città Creativa della Gastronomia UNESCO. Fermarsi in un ristorante per assaporare i piatti tipici come i tortelli o gli anolini in brodo, dalla forma rotonda e ripieni di stracotto di carne, conditi con il Parmigiano Reggiano e accompagnati da piatti di salumi, tra Prosciutto di Parma, Culatello di Zibello, Salame di Felino e altri.
C’è la mano inconfondibile di Giulio Romano in questo meraviglioso esempio di complesso monumentale del Rinascimento, nel centro storico di Reggio Emilia.
Dei due chiostri, recentemente magistralmente restaurati, attorno ai quali si articola la struttura, il più piccolo – forse ideato da Alessio Tramello - è un trionfo di volte a botte e cupolette angolari, bifore, timpani e lesene scanalate. Le colonnine binate in marmo rosso e bianco del Clemente e le decorazioni murarie del Moresino completano il colpo d’occhio di questa oasi di pace che favorisce un senso di estrema lontananza dall’incombente caos cittadino.
Alla sua raffinatezza da miniatura emiliana, si contrappone armoniosamente l’imponenza scultorea tardo manierista del chiostro grande. La cifra stilistica di Giulio Romano permea un ambiente perimetrato popolato da colonne ioniche alternate da aperture archivoltate a bugnato, finestre timpanate e nicchie con statue secentesche di santi dell’ordine benedettino.
Oggi un percorso poliedrico, uno spazio espositivo, un centro culturale di rilievo internazionale e luogo di partecipazione e confronto, di socialità e innovazione aperta; luogo anche di co-Work con comode postazioni progettate per fornire spazio e servizi informatici, tecnologici e momenti di pause con uno spazio food e caffetteria.
Tra i più antichi luoghi di devozione della città, il convento venne costruito tra il 1233 e il 1236 sull’onda dell’entusiasmo suscitato nella popolazione dalla predicazione di fra Giacomino da Reggio.
Adibito già nel tempo a caserma, poi a Deposito Stalloni, e a istituto per l’incremento ippico dell’esercito, il complesso cela nel proprio ventre due chiostri che conservano nel loro aspetto l’aura di una storia originalissima.
Sul più grande, edificato nel corso del XVI secolo, si affacciavano le celle dei frati, mentre nel chiostro piccolo, dominato dalla fiancata dell’antica chiesa dominicana, il passato si incontra col contemporaneo della scultura “Less Than” di Robert Morris.
Nel passaggio fra il primo e il secondo cortile, due lunette lasciano intuire la presenza di dipinti a fresco seicenteschi raffiguranti “Cristo e una santa Domenicana” e “la Madonna con alcune Domenicane”.
L’ala sud dei chiostri è oggi adibita a spazio espositivo, mentre il primo piano è sede dell’Istituto Musicale A. Peri, le cui note rendono ancora più suggestiva l’atmosfera che accoglie chi entra nel chiostro.
Suggestivo nel cuore di Reggio Emilia, il Chiostro della Ghiara, visitabile dall' ingresso dell'Ostello della Ghiara, in via Guasco, restituito alla città come punto di incontro dove è possibile godere di eventi culturali, spettacoli musicali, mostre, gustare le specialità della cucina tipica emiliana. Fa parte della struttura annessa alla magnifica Basilica della Beata Vergine della Ghiara, (ingresso su Corso Garibaldi) da cui prende il nome, la cui origine è legata alla presenza dei Servi di Maria che si stabilirono in città nel 1313, costruendo il convento e la chiesa dedicata in una zona ghiaiosa, essendo l’antico letto del fiume Crostolo deviato dall’esterno delle mura cittadine. Un nuovo santuario fu inaugurato nel 1619 con una festosa cerimonia di macchine allegoriche, che hanno dato il via alla nascita della festa della Giaréda. Meraviglia per gli occhi per lo spirito gli affreschi e le decorazioni affidati ai più talentuosi pittori dell’epoca come Leonello Spada, Ludovico Caracci, il Guercino. La visita al chiostro e poi alla basilica è come un viaggio in una pinacoteca d'arte emiliana della prima metà del Seicento, con la differenza sostanziale che i dipinti sono ancora visibili nel luogo e nella collocazione per i quali furono pensati, tra cui la “Crocefissione di Cristo con ai piedi la Madonna e i Santi Maria Maddalena, San Giovanni e San Prospero" di Guercino.
A pochi km da Reggio Emilia, il Comune di Rubiera ospita la Corte Ospitale, complesso monumentale del XVI secolo al cui ingresso si può ammirare il chiostro principale, per poi scoprire un secondo chiostro di dimensioni minori. A seguito di un attento restauro, dal 2000 l’Ospitale è polo culturale del territorio e centro teatrale, con sale attrezzate, ma anche una foresteria e spazi espositivi per mostre ed eventi. Si svela all’interno anche una chiesa sconsacrata. Da non perdere anche la stagione teatrale del Teatro Herberia di Rubiera, uno dei teatri storici dell’Emilia. Progettato con caratteristiche tardo-liberty e inaugurato nel 1926 con la rappresentazione dell’opera Bohème di Puccini, fu adattato poi a cinematografo. Dopo un lungo periodo di chiusura è stato restaurato e riaperto nel 1998 con tecnologie all’avanguardia.